CHETOSI E SPORT: VEDIAMO I DETTAGLI

La chetosi, spontanea risposta metabolica a una “crisi” energetica, è un meccanismo di sopravvivenza consolidato nell’evoluzione.

E’ determinato da un cambio di carburante preferenziale per far fronte a una ridotta disponibilità di carboidrati, oppure a un apporto calorico limitato rispetto ai fabbisogni.

La centralità della chetosi durante l’attività fisica consiste nel soddisfare la domanda energetica del sistema nervoso, tutelando al contempo le riserve epatiche di glicogeno.

E’ in questi termini uno strumento utile ad aumentare la flessibilità metabolica, permettendo al nostro organismo di fuggire, cacciare ed essere mentalmente lucido nonostante una disponibilità energetica temporaneamente limitata.

Queste osservazioni hanno spinto alcuni ricercatori a sperimentare gli effetti di una chetosi “controllata” sugli adattamenti indotti dall’allenamento, nonché sulla performance di atleti in gara.

Le tipologie di sport che meglio si prestano allo studio sono le discipline di endurance e quelle che prevedono il taglio del peso poco tempo prima della competizione.

Per quanto riguarda gli sport in cui lo sforzo si esprime a intensità massimale per poco tempo, come gli sprint, la dipendenza dai carboidrati come principale risorsa energetica rimane inevitabile.

La chetosi è in grado di ridurre l’attività di glicolisi muscolare, limitando la formazione di acido lattico e fornendo substrati alternativi per l’ottenimento di energia sotto forma di ATP.

In questa condizione l’ossidazione muscolare di grassi(attraverso la lipasi ormone-sensibile) durante l’attività fisica aumenta, e non è arrestato dalla presenza di buoni livelli di glicogeno, né dal consumo moderato di carbo.

I tessuti si adattano al consumo di una miscela di carburante caratterizzata sia da glucidi che lipidi.

L’aumento di concentrazione dei corpi chetonici nel sangue durante l’attività fisica non causa una diminuzione del pH del sangue, e l’integrità delle fibre muscolari è conservata con apporti proteici intorno a 1,2-1,6 g di proteine/kg di peso corporeo. E’ quindi una situazione fisiologica ben compensata e gestita dall’organismo.

Lo switch del combustibile: da glucosio a corpi chetonici

I corpi chetonici (principalmente β-idrossi-butirrato e aceto-acetato) aumentano nel sangue come effetto di input quali una dieta ipocalorica, un digiuno, l’esercizio fisico prolungato.

Pensiamo al nostro corpo come un’auto ibrida.

Quando l’intensità dell’esercizio è elevata, il combustibile preferito sono i carboidrati, disponibili sotto forma di glucosio e glicogeno.

Quando si rallenta o ci si riposa, è il consumo di grassi a incrementare, sotto forma di trigliceridi, glicerolo e acidi grassi.

Quando invece siamo a digiuno da diverse ore, e in modo particolare se abbiamo svolto attività fisica di recente, la disponibilità di glucosio non basta più ad alimentare l’elevato metabolismo del sistema nervoso.

Entra allora in gioco un combustibile alternativo, ma non per questo meno nobile: i corpi chetonici appunto.

La loro concentrazione sale man mano che il digiuno da carboidrati o la restrizione calorica si protraggono nel tempo.

I corpi chetonici sono prodotti dal fegato, e utilizzati come fonte energetica alternativa per muscolatura scheletrica, cuore e cervello.

Il fegato si configura quindi come vera e propria centrale energetica del digiuno, gestendo anche la sintesi di nuovo glucosio per mantenere la glicemia a livelli adeguati.

Seppur ridotta, la presenza di glucosio rimane fondamentale per le funzioni vitali.

In qualsiasi condizione abbiamo bisogno di una miscela di combustibili, non di uno singolo.

La condizione di chetosi è reversibile, ovvero al consumo di carboidrati in una certa quota, torniamo rapidamente a bruciare una miscela di carboidrati e grassi, e i corpi chetonici spariscono dalla circolazione:

Sia l’attività fisica prolungata che la restrizione calorica sono contesti di emergenza in cui la ridotta disponibilità di glucosio porta l’organismo a preferire l’utilizzo dei corpi chetonici, mentre il fegato continua a sostenere la glicemia a livelli di sufficienza.

L’alimentazione negli sport di endurance

Nel corso degli anni la comunità scientifica è andata alla ricerca un approccio nutrizionale adeguato, allo scopo di fornire agli atleti impegnati in discipline endurance linee guida che fossero valide nella massima parte dei casi. Gli ostacoli principali degli studi sono stati soprattutto il basso numero di partecipanti, nonché la grande variabilità individuale.

Tra le filosofie nutrizionali seguite per facilitare gli adattamenti all’allenamento, ne individuiamo tre principali:

Train low, compete high”: allenamento con scarsa disponibilità di glicogeno, compensato dal carico di carboidrati prima della performance.

E’ adeguato solo se la disponibilità limitata di carboidrati non inficia la qualità dell’allenamento stesso.                    (Hansen et al., 2005)

Training better”:  l’allenamento si affronta con riserve di glicogeno massimali, mimando la situazione in gara.       (American Dietetic Association, 1993)

Training smarter”: la disponibilità di glicogeno va limitata ad alcuni periodi all’interno del macrociclo, ciclizzando i carboidrati e ottenendo così il massimo dagli adattamenti indotti dalle sessioni di allenamento.

Presentati così, vi sarete già fatti un’idea riguardo alla tipologia di nutrizione che ritenete migliore per voi; tuttavia prima di trarre conclusioni affrettate, passiamo attraverso osservazioni oggettive:

La sensazione di fatica in condizioni di bassa disponibilità di glicogeno è maggiore.

Questo è vero soprattutto nei primi giorni di restrizione da carboidrati.

Dopo l’ingresso in chetosi, si configura spesso una condizione generalmente sopportabile (questo in parte determinato dall’effetto euforizzante dei corpi chetonici).

La lucidità nel compiere il gesto atletico con scarsa disponibilità di glicogeno potrebbe essere minore.

Per questo la restrizione da carboidrati deve essere ponderata in base al singolo atleta, alla disciplina, e agli specifici volumi di allenamento.

Con i grassi il muscolo non è in grado di costituire una “riserva” abbondante come nel caso dei carboidrati (glicogeno). 

Tuttavia la capacità del muscolo di ossidare i grassi è allenabile: già una settimana è un tempo adeguato per indurre attraverso l’alimentazione un consumo maggiore di grassi da parte del muscolo (grassi mono- e polinsaturi intorno a 60-80% delle calorie totali nella dieta).

Rientrando poi a una alimentazione con carbo più abbondanti (40-50%) la memoria metabolica del muscolo lo porterà comunque a consumare un quantitativo di grassi maggiore rispetto al periodo iniziale.

Il training smarter può essere concepito affrontando gli allenamenti lenti con scarsa disponibilità di glicogeno (es. al mattino a digiuno, oppure affrontando il secondo allenamento di un giorno di doppio dopo un depleting), mentre i qualitativi con un buon apporto di carbo, eventualmente anche a indice glicemico più elevato (come mais, riso o patate) apportati nel periodo di 3-12 ore che precedono il qualitativo.

La frequenza di ricarica dei carbo va tarata ad hoc, senza comunque spingersi in cicli low carb superiori ai 5 giorni: in caso contrario si rischia di andare ad alterare l’efficienza della sintesi proteica nella massa magra stimolata con l’allenamento.

Non per tutti gli sport la chetosi è la soluzione ideale.

In gruppi di runner kenyoti specializzati nella media distanza che si sono prestati ad uno studio recente, la quantità di carboidrati apportata era nell’ordine degli 8-10g/kg peso corporeo, e superiore al 70% dell’introito calorico totale.

Se i vantaggi di una chetogenica vi sembrano ancora ridotti rispetto a un apporto medio o elevato di carbo in relazione alla fatica (fisica o organizzativa) che può comportare allenarsi in debito di carbo, considerate anche che da

numerosi studi emerge come, a parità di gestione del peso, la chetogenica riduce notevolmente i marker di stress ossidativo indotti dall’allenamento.

 

Bibliografia

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PJ Cox et al., 2016. Nutritional Ketosis Alters Fuel Preference and Thereby Endurance Performance in Athletes.

B Egan, 2016. Fueling Performance: Ketones Enter the Mix.

LM Burke, 2015. Re-Examining High-Fat Diets for Sports Performance: Did We Call the ‘Nail in the Coffin’ Too Soon?

A Zajac et al., 2014. The Effects of a Ketogenic Diet on Exercise Metabolism and Physical Performance in Off-Road Cyclists.

A Paoli et al., 2012. Ketogenic diet does not affect strength performance in elite artistic gymnasts.

LM Burke, 2010. Fueling strategies to optimize performance: training high or training low?

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