LANGUISHING: FENOMENOLOGIA DELLA MANCANZA DI SPERANZA

Secondo il New York Times, l’emozione che ci accompagnerà per tutto il 2022 ha un nome: si chiama “languishing”, che tradotto in italiano suona più o meno come languire. ”

È un senso di stagnazione e di vuoto.

Ti senti come se ti stessi confondendo tra i giorni, come se guardassi la tua vita da un finestrino appannato”, scrive l’autore dell’articolo, Adam Grant, psicologo alla University of Pennsylvania e autore del libro “Think Again: The Power of Knowing What You Don’t Know”. ”

È l’assenza di benessere.

Non hai sintomi di disagi psichici, ma non neanche sei il ritratto della salute mentale.

Non funzioni al massimo delle tue capacità.

Il ‘languishing’ spegne la tua motivazione e distrugge la tua capacità di concentrarti”, aggiunge.

Il termine è stato coniato da un sociologo, Corey Keyes, colpito da quante persone non depresse non stessero comunque prosperando.

La sua ricerca rivela che le persone che tra dieci anni soffriranno di depressione e disturbi d’ansia non sono quelle che stanno sperimentando questi sintomi oggi.

Sono quelle che oggi stanno ‘languendo’.

Ma qual è il pericolo insito in questo status emozionale?

Secondo lo psicologo, è l’inconsapevolezza. “Non riesci a percepire te stesso scivolare lentamente nella solitudine.

Sei indifferente alla tua indifferenza – scrive sul NYT – e quando non riesci a capire che stai soffrendo, non puoi cercare aiuto né fare molto per aiutare te stesso”.

Molto stanno facendo scienziati e medici per curare i sintomi fisici del Long Covid.

Nel frattempo però molte persone si trovano a fare i conti con le ripercussioni psicologiche.

Queste possono colpire duramente e a sorpresa, proprio mentre la paura dello scorso anno si solleva. “All’inizio non ho riconosciuto tutti i sintomi che avevamo in comune – scrive l’autore -. Amici che mi dicevano di avere problemi a concentrarsi.

Colleghi che, anche col vaccino all’orizzonte, non erano affatto eccitati per l’arrivo del 2021.

E io che invece di balzare giù dal letto ogni mattina mi metto a giocare un’ora a Words with Friends”.

Un antidoto al “languishing” però c’è.

Prima di tutto, è necessario dare un nome a questa emozione, capire che non siamo soli, ma che, al contrario, è un qualcosa che in molti stanno sperimentando.

Il NYT ricorda che la scorsa estate la giornalista Daphne K Lee ha twittato un’espressione usata in Cina che potrebbe tradursi con il “rimandare l’andare al letto per vendetta”.

Sembra che fosse costume comune rimanere svegli a lungo durante la notte reclamando la libertà persa durante il giorno.

Un comportamento che rivela una voglia di riprendere il controllo.

Tanti lo stavano sperimentando e allora tanto valeva dargli un nome.

Lo stesso bisognerebbe fare per il “languishing”.

Come possiamo combattere questa assenza di gioia, questa stasi, dunque?

In inglese, c’è la parola “flow”, “flusso”/“fluire”, che potrebbe essere proprio l’arma giusta contro l’emozione del 2021.

Con questo termine si intende quello stato di abbandono piacevole che proviamo quando siamo completamente assorbiti da qualcosa, quel momento in cui perdiamo la cognizione del tempo, dello spazio.

Può essere un progetto a cui teniamo molto o una serie tv su Netflix: entrambi possono avere quel magico potere di trasportarci via.

E di salvarci, seppure per un momento, dalla negatività.

L’ultimo avvertimento che lo psicologo lascia nell’articolo è quello di fare attenzione a dedicare a noi stessi un tempo non frammentato.

La pandemia ci ha costretti a cambiare mansione ogni dieci minuti, passando dal nostro lavoro ai nostri figli alla cura della casa in un batter d’occhio.

Tutto questo favorisce il “languishing”. Siamo noi ad avere il potere di dargli il colpo di grazia.

Ma per farlo non possiamo ignorare la sua esistenza.

Non esistono solo le malattie fisiche, ma anche quelle mentali.

E questo è un qualcosa che, mentre ci accingiamo a vivere l’epoca postpandemica, dobbiamo assolutamente ricordare. “Se non hai la depressione, non vuol dire che tu non stia soffrendo.

Se non hai il burn out non vuol dire che tu non sia esaurito – conclude Grant -.

Sapendo che molti di noi stanno ‘languendo’, possiamo finalmente iniziare a dare una voce a questa sommessa disperazione”.

 

Fonti:

https://www.huffingtonpost.it/

 

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